giovedì 30 maggio 2013

LA GRANDE BRUTTEZZA (sulla scia di vecchi ricordi)


Adoro Sorrentino.
Mi sono piaciuti tutti i suoi film, almeno finora. Ma non starò qui a dire cosa di Pasolini (autore che amo altrettanto), di Visconti (di cui apprezzo  la capacità di “romanzare”, rendendole  vere, le analisi psicologiche e sociali più feroci) e di Fellini (regista che non ho mai amato) ho trovato in questa pellicola che per due ore e mezza ti trascina in un mondo parallelo che trovo sia un capolavoro assoluto.
Forse il limite è che descrive una Roma che per molti richiederà uno sforzo notevole immaginazione.
Forse può sembrare esagerato e paradossale.
Forse si pensa che sia solo lo specchio e il frutto della deriva e della deviazione politica degli ultimi tempi.
Ma non è così. I protagonisti non sono  onorevoli o senatori (solo tangenzialmente).
Nel film c’è una nobiltà decaduta nello stile ma ancora ricca, un’opulenza che viene dal niente o dall’industria o da un’area pseudo intellettuale o che tale si ritiene, c'è un’aristocrazia lasciva che si mescola volentieri con gli strati più ambigui, coi proprietari di night club anche se li schifa, un clero corruttibile e profano.
E tutto intorno c’è Roma.
Una tra le più belle città del mondo, silenziosa (o solo silente), arresa ad essere il contenitore di questo immondezzaio umano, anche lei vecchia signora le cui vestigia nessuno celebra più, lei, che è la grande bellezza.
Quella Grande Bellezza di cui più estesamente potremmo godere tutti, nel cuore e negli occhi, dovunque siamo e qualunque cosa facciamo. Ma che non vediamo, più.

Probabilmente se non avessi visto con i miei occhi queste persone, se non avessi avuto la visione diretta che esistono, non avrei avuto la più lontana percezione della loro presenza.
Eppure.
1989: 21 anni, amici di ogni tipo perchè ti sei sempre vantata di avere amicizie trasversali, non tutte dello stesso tipo, con le stesse idee e gli stessi gusti. Ti sei vantata di essere capace, tu, di estrema sinistra, di trovare del buono anche nel più ardito dei conservatori e reazionari, che basta non parlare di sociale o di politica ma che in fondo ci sono argomenti altri.
Ad esempio nessuno viene così volentieri ai concerti di Santa Cecilia e si intende di Brahms e Rachmaninov più di LEI, più di C..
E a quell’età, tra i tuoi amici punk, è difficile che qualcuno ascolti musica classica.  Quindi C. è ok, io la frequento.
Fu così che una sera mi ritrovai invitata ad una festa, in una casa nobiliare, in pieno centro.
Per chi ha visto il film di Sorrentino, potrei non sforzarmi a descriverla, perché era più o meno la casa dove Giorgio Pasotti (il tenutario delle chiavi dei più bei palazzi romani) porta Tony Servillo e la Ferilli (alias Gep Gambardella e Ramona) e dove si vedono 3 anziane nobildonne intente a giocare a carte.
Per chi non lo ha visto, provo a descrivere che mi trovai in un palazzo straordinariamente bello, con stanze enormi, alcune vuote, altre con pochi pezzi magnifici lasciati lì al loro destino, spledori dimenticati. Molti cimeli e oggetti antichi erano in ingresso, evidentemente in procinto di essere venduti all’asta o a privati per ricavarne dei soldi.
Giovani  e meno giovani (alias figli e genitori) si aggiravano con piattini e bicchieri in mano servendosi da buffet piuttosto contenuti (nulla mancava ma l’opulenza è un’altra cosa), oppure sedevano su canapè intavolando discorsi di cui ignoro tuttora i contenuti, qualcuno mi è stato presentato come “futuro latinista” (giuro!), in qualche sala ballavano vestiti in modi improbabili (diciamo che gli abiti da sera erano molto anni 80), nel bagno un paio di signore sui 50 le trovai che bevevano superalcolici, ogni tanto ti imbattevi in un prelato che si aggirava con aria estatica, come fosse sempre in procinto di elargire una benedizione.
Tutti avevano l’aria di divertirsi moltissimo, di fare qualcosa di altamente trasgressivo. Ma non era così. C'era qualcosa di estremamente finto e fittizio, di ostentato, di non assimilato.
Per me, che venivo dai locali di San Lorenzo, ancora battuti da universitari e squattrinati,  o al massimo da qualche serata in giro dopo un film con amici, mi sembrava che fossero dei Nosferatu che di giorno, con la luce, sparivano.
Anche io, ovviamente, avevo un vestito rimediato non ricordo più dove, visto che era richiesto un abito da sera e io non ne avevo, ma giuro che in quel contesto, facevo la mia porca figura.
Fatto sta che mi viene presentato quello che doveva essere il meglio della piazza, tale L..
Un tipo spilungo, un po’ più svecchiato degli altri, nè brutto nè bello ma con un’aria triste negli occhi che mi fece subito simpatia. Pensai che forse anche lui non era felice di stare li, che avremmo potuto parlarne, almeno per passare il resto della serata senza mettere in imbarazzo la mia amica C., visto che ero in macchina con lei.
Ma la fortuna (o sfortuna) volle che C. mi chiedesse di tornare a casa prima, che non stava bene e le dispiaceva interrompere la festa in anticipo. Figuriamoci io, nascondo un palese entusiasmo, saluto il ragazzo e dichiaro finita la tortura.
Qualche giorno dopo vengo invitata sempre da C. a prendere un thè in centro (!), la questione pareva importantissima, perché L. aveva chiesto di rivedermi!.ù
“No grazie, non mi sembra il caso. Vai tu che mi sembra sia più il tuo tipo”. C. ride e ci scherza su ma alla fine mi convince (non ultimo il fatto che mi stessi perdendo una fortuna…hai visto mai???).
L’appuntamento ovviamente era nel Caffè più antico di Roma, il Caffè Greco. Là mi ritrovo una parte dell’allegra gioventù della sera prima, C. e ovviamente L. Questa volta più ridanciano e colorito.
Passo un’oretta e mezza a sentire pettegolezzi su gente che non conoscevo, su scuole che "quelli" non potevano più permettersi mentre "loro" si, su trasmissioni televisive di cui ignoravo l’esistenza e qualche altra noiosissima stronzata. Taccio per quasi tutto il tempo, guardandomi attorno e domandandomi chi pagherà.
Ad un certo punto faccio presente che devo andare.
Allora L. si alza e mi chiede se posso seguirlo. Mi porta ad un tavolo poco lontano dal nostro dove erano sedute 4 o 5 signore. Mi presenta ad una di loro chiamandola "Mamma" e le dice che io sono G., la ragazza di cui le aveva parlato.
La signora non si scompone, mi sorride da seduta, mi avvicina una mano che io non so come prendere, lei lo nota, la ritira, ravana nella borsa, ne estrae un pezzo di carta ben nascosto tra le dita, mi riallunga la mano prendendo la mia e infilandovi 5.000 lire: “Queste sono per il taxi che la riporterà a casa, signorina”.
L. abbassa lo sguardo, mi accompagna alla porta e mi dice “Mi dispiace”. C. resta a ridere con le sue amiche.
Io, con l’esprit d’escalier, torno furiosa a casa.
Ero incazzata marcia, non per quanto era accaduto, ma solo perché , mentre le restituivo il denaro, anziché dire “Grazie, faccio da sola” non abbia risposto “Signora, le  prossime 5.000 lire le dia a qualcuna disposta a fare un pxmpinx a suo figlio!” .
Grazie Sorrentino. E grazie Servillo.

lunedì 27 maggio 2013

PICCOLO: "MOMENTO DI TRASCURABILE FELICITA'"

Grazie a EDP, mi è tornato alla memoria un ricordo.
Lo cito perchè, come momento di trascurabile felicità, posso assestarlo tra la gratificazione edonistica e le piccole vendette personali.
(io e chi so io abbiamo capito) :) 


Un bel po’ di tempo fa (avrei giurato fossero solo un paio d’anni ma ho verificato e ne sono passati 5!!!) vado ad un reading al Circolo dei Lettori di Torino. Dieci autori erano stati invitati a scrivere racconti su oggetti di design diventati per loro, e nella storia del design in generale, di culto. Trascinata da una mia amica che conosceva il gruppo musicale che faceva da sfondo alle letture, gli YoYoMundi, assisto alla serata di un certo Francesco Piccolo, a me del tutto sconosciuto. Ho saputo solo poi che era noto coautore di alcune sceneggiature di Virzì, Moretti, Soldini etc. Ma questo non avrebbe cambiato le cose.
Al termine della serata era previsto che io, la mia amica e gli YoYo si andasse a bere una birra da qualche parte. Tuttavia c’era da aspettare che il gruppo smontasse tutta l’attrezzatura e la caricasse sul furgone. Per ammortizzare l’attesa mi faccio un giro per il Circolo e mi imbatto in F.P. Per noia e per spirito di cazzeggio lo approccio e gli faccio i miei complimenti per il racconto. Per spirito di contraddittorio gli dico anche che io, contrariamente al suo personaggio, sull’autobus sono un po’ stronzetta e non cedo il posto a nessuno (cosa peraltro falsissima perché io mi comporto da sempre come il Signor Giovanni del racconto!!!). Vedo illuminarglisi gli occhi (e oggi so perché...e non nego che la cosa mi ha sorpreso) ed inizia a fare il piacione in un modo così spudorato che a quel punto azzardo “Ma che peccato che abbiano smontato il banchetto mentre chiacchieravamo…avrei voluto acquistarne una copia..”. Ovviamente si fa carico della faccenda portandomi in un’altra sala del Circolo dove aveva la copia che si era tenuto per sé. “Mi dispiace privartene…ma dai lo troverò in libreria…bhè, se insisti..almeno però scrivimi una dedica perché rimanga immortalato il sacrificio…”. E lui sempre più gasato toglie il cappuccio ad una stilografica che spara inchiostro in ogni dove: sulla tovaglia del tavolo, sulla mia sciarpa e sulle sue mani. Cerchiamo tovaglioli e fazzoletti d’emergenza, ci viene da ridere al pensiero dei casini che si accavallano, delle macchie che aumentano e dilagano. Ad un tratto si ferma e mi chiede “Cosa fai stasera?”. Io gli dico che sono con amici e se vuole unirsi … “No non ho voglia, sai, di vedere gente? Preferirei una cosa più tranquilla. Si può fare da te?”. Il tempo di rispondergli che no, non mi sembrava il caso non abitando da sola, che mi sento afferrare la mano nella stretta più vigorosa che io ricordi, accompagnata da queste parole “Stammi bene, io devo andare, ciao!”. E mi ha mollato lì su due piedi, la mano nera d’inchiostro non senza avere anche tentato di tirarmi via dall’altra il libricino che io, invece, con altrettanta tenacia ho trattenuto fino ad ottenere che lo lasciasse.
Ora che ho letto questo però penso che essere descritta in un ricordo (falsato sicuramente dall'uomo che non dirà mai di essere stato rimorchiato da una ciospa) come BELLISSIMA e MOLTO GIOVANE non mi sarebbe dispiaciuto! :D




PS: ammetto però che il libercolo suggerito da EDP contiene delle cose sulle quali rifletti sorridendo. Perchè ti capitano, perchè sono umane, perchè sono descritte alla perfezione. Tipo questa:

venerdì 24 maggio 2013

ARCHEOLOGIA DOMESTICA


Se è vero che non si fatica a trovare blog su neomamme indaffarate e alle prese con bambini ancora in età di incontinenze si fa fatica a rintracciare uno straccio di condivisione sull’età adolescenziale.
E’ come se ad un certo punto le mamme sparissero dalla circolazione.
Ed in un certo senso è così perché non c’è nulla di più antico e saggio del proverbio: “figli piccoli problemi piccoli, figli grandi problemi grandi”.
Anche se, quando hai un frugoletto tra le mani, non sei affatto disposto a crederlo e tutti i problemi ti sembrano già abbastanza concentrati lì.
E invece…
Eccoci dopo 13 anni ad avere a che fare con un asparagone un po’ lesso e un po’ vispo, a seconda di cose che non capirete mai (le capiamo, le capiamo. Ma lasciamo che loro pensino di no!).
Oltre a raccontarti nei minimi dettagli cosa è successo nell’ora di ginnastica o se qualcuno è volato giù per le scale (quindi eventi di portata tale che proprio non si possono tacere), tutto il resto per loro è fuffa oppure cose di cui TU non DEVI essere messo al corrente.
Tirare fuori informazioni con le tenaglie o sottoporli ad un bombardamento di domande li mette quasi subito fuori uso. L’occhio si fa spirale e l’orecchio si chiude come se il padiglione auricolare  fosse lo sportello dello sputnik.
Se poi c’è una cosa che LORO, gli adolescenti, non sopportano è vedervi felici.
Guai a farvi sorprendere a ballare un pezzo anni 80 trasmesso alla radio e che vi agita istintivamente i fianchi, o a declamare in modo un po’ scemo le delizie del fiordifragola da sole in cucina o a fare effusioni e finti battibecchi amorosi con la vostra metà!
Sarete osservati come panda in uno zoo, passibili di occhiate di disapprovazione e disgusto che non riserverebbero nemmeno ad un piatto di spinaci lessi.
In tutto questo dovete stare ben attenti a non sembrare apprensivi, potreste rischiare un muso che durerà da un minimo di 2 ore ad un massimo di 2 giorni.
Dovete altresì fare i conti con la bradipìa che coglie i tredicenni.
Mentre noi siamo nella fase di chi stenta a prendere sonno e si sveglia comunque alla 6 del mattino, loro sono capaci di addormentarsi in piedi nell’arco di pochi minuti, il tempo di chiedergli che tipo di pasta buttare nell’acqua.
E cadono in un sonno profondo, letargico, che le prime volte potrebbe addirittura farvi paura. A quel punto potete far squillare il telefono fisso, quello cellulare e suonare il citofono contemporaneamente senza smuovergli nemmeno una palpebra. E’ capitato. La verità.
Un pomeriggio lo lascio sotto il portone.
"Tu sali intanto, che sta per arrivare S.".
Il tempo di una commissione con un'amica che mi chiama la S., prof di chitarra, per dirmi che era sotto casa ma nessuno le apriva.
Strano” le dico “l’ho lasciato 5 min fa, ti aspettava…”.
Eppure, lei al citofono e io ed un’amica alle tastiere (dei cellulari): niente.
Corro a casa e mi faccio 5 piani col cuore nei talloni, apro che la chiave non trovava la toppa tanta era la tremarella e lo trovo steso come la Maja Vestida sul divano, dal quale riemerge con il solito punto interrogativo stampato sul volto “Che è successo mà? S. non è venuta?”.
Capirete dunque che ieri abbia fatto verificare alla bidella se era in classe.
Doveva entrare alla seconda ora e alla terza avevano il compito di mate. Io esco di casa presto ma verso le 9,30 mi assale il dubbio “Si sarà svegliato?”. Chiamare casa non è più una garanzia, quindi chiamo la scuola. Non vi descrivo il tasso di isterismo quando la sera mi ha rinfacciato di essere come la mamma di Greg Heffley quando fa questo.
La mia tecnica è restare impassibile. “Non hai che da ispirarmi più fiducia caro”.
Ma il punto è che voi non avete 45 anni.
Se tentate di sentirvi giovani dentro, fatelo solo se avete figli piccoli perché l’adolescente è spietato e vi sovvertirà.
Un giorno, mentre io e suo padre stendendo i panni venivamo colti da quell’ilarità tanto ingiustificata ai suoi occhi, gli dico “Ludo, lo so cosa stai pensando! Tu credi che siamo anacronistici
Sulle prime non ha fatto una piega. Poi, mentre annaffiavo i fiori, spunta sul balcone e mi chiede “Che vuol dire anacronistici?”.
“Vuol dire quello che stavi pensando” rispondo io subdola.
“E cioè?”
“E cioè...se non lo sai te!”
“Che mi stavi per cazziare?”
“No, una persona anacronistica non sta per cazziare nessuno”
“Che perdevo tempo e dovevo andare a studiare?”
“Nemmeno. Acqua…oceani d’acqua!”
“Che non devo pensare quello che penso?”
“Nemmeno. Leva la coda di paglia e sii sincero. Non ha che fare con te. Ha a che fare con quello che tu pensavi di ME!”
“Ah. Che sei antica?”
Posso garantire che sapere di averci preso non mi ha dato alcuna soddisfazione. :(

giovedì 23 maggio 2013

OMAGGIO SENZA RISPOSTA







A piedi nudi sul pavimento, cerco risposte senza domande, di una madre che mi ha amata  come la vita che avrebbe voluto...

Oggi sono 19 anni che mia madre è morta. Sono passati tanti anni, eppure la sua presenza vive in me. So di non dire nulla di straordinario e non è questo il mio intento, ma la sua presenza  espressa nell’assenza, mi ha permesso di elaborare e trasformare desideri nascosti.                                                                             
Il suo nome era Lina. Era nata il 19 marzo del 1933 e all’età di 12 circa una scheggia di mina le aveva  trafitto il ventre, era stata ricucita, ma la lesione era estesa. A 19 anni  ha partorito mio fratello Tiziano, a 27 anni ha partorito mio fratello Andrea e poi a 39 anni ha partorito me.  Sono figlia di un preservativo bucato, l’ammetto,  un “settebello” per essere precisi. Nonostante una pancia sventrata, tre figli sono venuti al mondo.  Questo è straordinario.  
                                                                                                                                               
Le regole che governano un’esistenza sono strane;  la vita di mia madre è stata ricca di segni e così la mia.  Come un’eredità i segni si sono dispiegati secondo un effetto domino,  attraverso il tempo,  quello che si è mantenuto nascosto ha richiesto e poi preteso  forma.
Lina era un’ottima ballerina, cucinava bene ed era molto brava come sarta. Ricordo ancora una piccola stanza  in cui teneva la macchina da cucire, una Singer,  i tessuti che comprava, i colori. Mi divertivo ad accostarli tra loro,  lei mi faceva scegliere e poi mi cuciva un cappotto, oppure una gonna, una volta mi ha cucito un frak rosso con i bottoni di raso nero, non per carnevale.
Apprezzava il mio essere stravagante nel vestire;  e apprezzava segretamente il mio essere fuori dalle righe anche se non mi capiva, come un potenziale inespresso ero l’incognita su più livelli. Ma quando io le disegnavo un modello e lei riusciva a crearlo, a quel livello eravamo in sintonia, parlavamo la stessa lingua, complici. Ed io ero fiera di indossare un cappotto color carta da zucchero, soffice, con i bottoni in tinta, unico e confezionato su misura per me, da mia madre. 
Ogni creazione ci rende unici  e preziosi, anche per questo è necessario creare.
Non saprei dire che cosa Lina avrebbe voluto fare, ma soprattutto essere,  se non fosse stata madre e moglie nel ruolo di Lina. Quello che so è che una parte di lei si sentiva inespressa, non realizzata. Aveva gestito  tutta la sua vita al meglio delle sue possibilità, questo è certo, ma credo abbia rimpianto il non essere riuscita  a trasformare,  il peso che la opprimeva e le impediva di sentirsi libera.
 Cosa che ora mi concedo. 
Era figlia di un’epoca dove l’ineluttabilità  dell’esistenza  circolava nel sangue ; ogni molecola del suo corpo rispondeva alla credenza di essere una sopravvissuta, in un senso di colpa che le ha impedito di esprimere, semplicemente la sua di voce.
 Avesse avuto più tempo, forse , sarebbe riuscita a scoprire chi era, cosa le piaceva veramente e cosa desiderasse nel profondo il suo cuore.
La libertà di creare.  Ecco cosa mi ha lasciato come testimone mia madre. Un dono da trasformare. Da soli non facciamo nulla, soprattutto le cose più significative. Siamo connessi nel cuore delle cose.
Se la incontrassi, non in paradiso in cielo o altrove, ma per strada mentre cammina con quel suo passo leggero  e l’aria concentrata, incrociandola le darei una busta con dentro una poesia, per tutt’due come omaggio per l’aver creato insieme.  Poi,  la lascerei andare, senza voltarmi. 


 VOGLIO ANCHE CARAMELLE

Voglio morire così
come muoio ogni giorno
senza noia ritorno
tutto il giorno.
Voglio parlare cosi
come il sasso e la piuma
orfani di una roccia e un uccello
unici e comuni.
Voglio sognare cosi
come le stelle sognarmi che brillo
dietro le nuvole
splendere quando il cielo sbadiglia.
Voglio ballare cosi
sulle mie ossa
con cui ho ballato tutta una vita
e riposare senza rimpianto in un mare
di rose e caramelle.


                                                                                                         Indi Beck

mercoledì 15 maggio 2013

LA PIOGGIA PUO'...

Può capitare, anche in una giornata piovosa come questa, di sentirsi innamorati, anche se il soggetto/oggetto in questione non è un uomo, neanche una donna, un animale, un bambino, un citofono, piuttosto che un vaso di fiori, insomma niente di tutto questo che brevemente ho elencato.
Piuttosto è quell'attitudine al bello, quella  propensione naturale nel guardare la bellezza e in giorni fortunati come questo anche a sguazzarci, entrare a piè pari nelle pozzanghere, non usare l'ombrello, tanto il raffreddore già c'è, e sentirsi frastornati non solo dal muco.
Sono innamorata della mia vita, e non più segretamente...ma se fossi innamorata di un uomo, forse gli direi questo.


POSSO... ?

Posso... tra i tuoi capelli perdermi ?
come mare in cui immergermi
e nuotarvi senza dubbio, di fondo.
Posso, sulla tua pelle riposare ?
come amàca da terra sconosciuta
accolta senza timore, in bilico.
Posso, tra le tue mani nascondermi ?
quando da vento feroce
riparano in conca d'amore.
Posso, nei tuoi occhi cercarti ?
dondolare sulle aste dei tuoi occhiali
riflessa nel tuo sguardo.
Posso, sciogliermi sulla tua bocca ?
nel cerchio di una fessura
noce e miele, complici.
Posso, sulla tua schiena ascoltare ?
il tuo nome, come tamburo percuote
suono della tua voce, scalda.
Posso, tra le tue braccia farmi abbracciare ?
senza chiederti
se posso farmi amare.

                                                                               
                                                                                     INDI BECK

mercoledì 8 maggio 2013

FELICITA'? E' UN BICCHIERE DI VINO CON UN PANINO?

Questo post mi ha colpito molto perchè proprio in questi giorni riflettevo sul concetto del "sono le piccole cose che fanno la felicità" e sul fatto che se ne faccia una "filosofia di vita" (ecco come bistrattare la parola filosofia!).

Pur avvertendo la verità che tale concetto riassume, sentivo che tuttavia c'era un minus, un qualcosa che non sempre funziona.

E lo scritto di Aristotele che V. ha riportato sul suo blog (e che ringrazio davvero per avermi aperto questo squarcio di visuale) è stato in un certo senso illuminante.

Sono molto d'accordo sul fatto che si assista al  "Fenomeno diffuso dei cercatori di pillole di felicità: i quali, lungi dal fare della felicità un'attività esistenziale, si accontentano di un "sol giorno." Cercano le loro pillole in maniera disperata, come se fossero in crisi di astinenza, poi le buttano giù, senz'acqua, e aspettano l'effetto placebo" . 
Occorre dunque avere un progetto di felicità? E quale può essere davvero? La continuità basterà a salvarci?

Il mio ex marito mi ripeteva: "se ogni mattina ci si alzeremo e penseremo a quanto ci amiamo l'un l'altra, ci guarderemo ricordandoci di quanto è importante per noi che ancora quel giorno sia un giorno condiviso, in cui faremo delle cose insieme, per la nostra felicità, ci ameremo per sempre".

Che lui avesse letto Aristotele non v'è alcun dubbio, essendo docente di filosofia.
Ma forse Aristotele non voleva dire che se si fa il contrario di quanto diceva Zenone, allungando e sommando gli istanti,  si arriva all'eternità.
E il mio caro ex ne è una prova probante, perchè pur mettendocela tutta e seguendo indicazioni  e posologia, ha perso ugualmente la via. E io pure del resto.

C'è quel "come esseri umani" che credo faccia una bella differenza.

Perchè se è vero che la felicità può essere anche un panino con la mortadella ai pistacchi, bisogna aderire totalmente a quel momento.

Ne siamo capaci? Io, mi domando senza coninvolgervi troppo in questo delirio, ne sono ancora capace?

Ogni giorno cerco di costruire il mio "pezzetto di felicità", come coltivassi un orticello senza avere alcuna cognizione di botanica ma solo provando, sperimentando, aggiustando. Un vero lavoro insomma! Ari sarebbe, forse, soddisfatto. 

Anche perchè la sperimentazione fa parte di quel blister di pillole che ti rendono felice.

Fare una cosa nuova. Non è già questo bello?
Seguire una propria inclinazione, avere la fortuna di poterlo fare. Non sono già 2 cose di lusso per il nostro ego?
Avere con degli amici, magari durante una bella cena, una conversazione ricca di contenuti, che ci ha lasciato molte cose sulle quali riflettere. Non è forse una cosa che ci ha arricchito?
Farsi una sana risata. Non è uno dei piaceri più intensi?
E questo vale per tutto il resto.

Eppure, giorno dopo giorno, non sempre è così, almeno per me.

E finisce che il distacco che avverto tra quei piaceri (effimeri o no, veraci o meno) e la voglia di essere felice dentro, sono come quando si è soli in due, che è peggio che essere soli da soli.

Forse quindi quell'"Essere felici significa dimostrare di vivere come esseri umani, giorno dopo giorno" significa sentirsi davvero UMANI.
Stare dentro a questa umanità, farsela propria, sguazzarci, sporcarcisi.

E questo in effetti capita con molta più facilità nei confronti dei figli, che sono quanto di più umano derivi dal nostro essere umano.
E che sono quanto di più libero e aderente col mondo che li circondi, senza diaframmi, senza metapensieri.
E che ci ricordano (se uno lo ha provato intensamente anche solo una volta durante l'infanzia) come allora eravamo un tutt'uno con quello che facevamo.

Ecco perchè dopo aver seguito la terapia delle pillole, ritornano più forti, come schiaffoni a volte, i ricordi di infanzia.
Soprattutto mentre sono lì che bagno il famoso orticello, una folata di vento mi butta giù un vaso e mi riporta alle narici un alito di quando avevo una manciata di anni e il cuore aperto.

Mi fermo e penso che è solo l'inevitabile preoccupazione per la vita che va, e che non potrà mai restituirmi QUELLA libertà.
RassegnaMi.
Avrò sempre il cuore impegnato per una parte dal dolore delle perdite che ci son state o delle cose che non sono riuscita  trattenere. E ci sarà poi sempre una parte di esso dove girano a vuoto i prodotti della psiche, con tutti i suoi numerosi e invisibili filamenti, i contributi degli agenti esogeni e quel senso di "porta vuota eppure non so dove buttare la palla" (che è come dire, sai davvero sempre quello che vuoi? Fortunata/o!! Io no).

Quello che non ho perso è la corazza che insieme a quei dolori si è costruita da sola, senza che io me ne accorgessi (ma penso che c'hanno messo del suo qualcuno di quei filamenti) e che mio malgrado ha voluto e vuole ancora proteggermi a tutti i costi da qualcosa di cui non avevo paura e di cui forse oggi, potrei aver paura.

Il mio vero progetto di felicità esistenziale (con buona pace di Sartre) è smantellare.
Smantellare questa cosa che non ho voluto e contro la quale non ci saranno passeggiate, giornate di sole, ricordi passati   che potranno lottare al posto mio.
Potranno tutt'al più essere semplici alleàti.

E non aver paura.
Come un umano.
Un umano, troppo umano. (*)



posted by Grazia
(*) non che apprezzi particolarmente Nietzsche, ma la contraddittorietà fa parte di questo del mio mondo. Che per me è un pò quello che V. ha espresso con "Il mio pensiero, a volte, è un gran disturbatore di felicità". Anche se lei magari intendeva qualcosa di diverso. :)
 

lunedì 6 maggio 2013

INDI BECK IS BECK!

IL PROFUMO DELLA LIBERTA’
 Metti che ti senti un puntino, un segnale luminoso che percorre le vie della città
non tutte, ma tante.  Metti che un giorno, a caso, metti che sia un mercoledì,
 ti senti sempre un puntino
e vuoi percorrere altre strade, ma non hai indicazioni, nessuna rotta, idea, se non lo stesso confine che
ti sei imposto.
Metti che inizi a guardati, che inizi a capire, metti che inizi a sentire.
Ti chiedi sei vuoi essere altro, oltre a un puntino.
Metti che decidi di essere altro, non sai in che forma, non sai in che luogo.
E ti Metti d’ impegno.

ESPANDITI
Espanditi
come spazio sconosciuto
urla senza contegno
nella notte che aspetta il giorno
Espanditi
come corpo cerca corpo
infinite direzioni
spinte senza forza
frecce
precise e molteplici
Espanditi
luna e sole siedono
Esponiti
come senso di un viaggio.
                                                                                Indi Beck

venerdì 3 maggio 2013

TRE GIORNI A ROMA: BIS

 BIS si chiama così perchè verrà davvero voglia di bissare e inaBISsarsi nel gourmet pret a porter!
Con AimondoMoichi si era pensato che poteva essere anche BIoS il nome...perchè è sul serio (e non per moda) tutto proveniente da agricolture biologiche conosciute e comprovate. Però avrebbe potuto chiamarsi anche PIOS...perchè si trova a Borgo Pio a Roma...eh già! vicino a Castel Sant'Angelo, Via Cola di Rienzo e il Vaticano (insomma, individuatelo, è in Via Vitelleschi 38!!).

Questo per dirvi che se fate un salto nella capitale, o meglio, già vi ci trovate, vale la pena fermarsi a fare uno spuntino di qualità.

Prendete me ad esempio. Io ho preso un panino con il pollo.
Aiutatemi a ricordare se aveva un nome particolare...ma mi pare fosse proprio "panino col pollo".
Ora, detto così, penserete voi, non è che non lo abbiamo mai mangiato un panino col pollo!
Ma anche con il pollo marinato prima della cottura con una spezia indiana mai sentita prima? e al posto della majonese una salsina fatta con cipolle, mele, senape e yogurt?
La verità? Vi giuro che crea dipendenza.

Anche se a molti la dipendenza l'ha creata la Torta di fragoline e ricotta o il Muffin con la composta di mele o la Tiella ripiena di verdure varie tratte dal nostro fecondo orto mediterraneo.
A qualche patito del cibo ultralight è rimasta nel cuore l'Insalata con avocado e trancio di salmone cotto al vapore (ma bisogna proprio essere dei maniaci per rinunciare al resto)!.

Se entrerete poi, non troverete solo queste cose buone, ma anche Laura e Marina, le due belle e simpatiche proprietarie, pronte a ragguagliarvi sulle novità.
Ci vuole coraggio a staccare e cambiare vita. Loro lo hanno fatto (nel caso di L. lasciando un posto aziendale che, per quanto certo ed economicamente affidabile metteva a dura prova la resistenza e la capacità di adattamento di chi ha intelligenza e senso critico) e, personalmente, ritengo abbiano fatto un gran bel lavoro.
"Il Lavoro", quello che per quanto ti impegni non lo senti perchè è la passione a muoverti.
E non la routine a morirti.

Quindi, vi invito ad assaporare anche questo dentro BIS: la passione che sta nell'aria e dentro il cibo....assicuro che è un ottimo condimento!

(apertura solo a pranzo - per ora - e mai di sabato!)

Per avere un altro point of view: http://quartopianosenzascensore.wordpress.com/2013/05/03/bene-brava-bis/
e soprattutto per averne uno maschio (sempre interessante sul cibo!) http://aimondomoichi.wordpress.com/2013/05/03/bis-a-borgo-pio-una-cosa-santa/