Adoro Sorrentino.
Mi sono piaciuti tutti i suoi film, almeno finora. Ma non starò qui a dire cosa di Pasolini (autore che amo altrettanto), di Visconti (di cui apprezzo la capacità di “romanzare”, rendendole vere, le analisi psicologiche e sociali più feroci) e di Fellini (regista che non ho mai amato) ho trovato in questa pellicola che per due ore e mezza ti trascina in un mondo parallelo che trovo sia un capolavoro assoluto.
Forse il limite è che descrive una Roma che per molti richiederà uno sforzo notevole immaginazione.
Forse può sembrare esagerato e paradossale.
Forse si pensa che sia solo lo specchio e il frutto della deriva e della deviazione politica degli ultimi tempi.
Ma non è così. I protagonisti non sono onorevoli o senatori (solo tangenzialmente).
Nel film c’è una nobiltà decaduta nello stile ma ancora ricca, un’opulenza che viene dal niente o dall’industria o da un’area pseudo intellettuale o che tale si ritiene, c'è un’aristocrazia lasciva che si mescola volentieri con gli strati più ambigui, coi proprietari di night club anche se li schifa, un clero corruttibile e profano.
E tutto intorno c’è Roma.
Una tra le più belle città del mondo, silenziosa (o solo silente), arresa ad essere il contenitore di questo immondezzaio umano, anche lei vecchia signora le cui vestigia nessuno celebra più, lei, che è la grande bellezza.
Quella Grande Bellezza di cui più estesamente potremmo godere tutti, nel cuore e negli occhi, dovunque siamo e qualunque cosa facciamo. Ma che non vediamo, più.
Probabilmente se non avessi visto con i miei occhi queste persone, se non avessi avuto la visione diretta che esistono, non avrei avuto la più lontana percezione della loro presenza.
Eppure.
1989: 21 anni, amici di ogni tipo perchè ti sei sempre vantata di avere amicizie trasversali, non tutte dello stesso tipo, con le stesse idee e gli stessi gusti. Ti sei vantata di essere capace, tu, di estrema sinistra, di trovare del buono anche nel più ardito dei conservatori e reazionari, che basta non parlare di sociale o di politica ma che in fondo ci sono argomenti altri.
Ad esempio nessuno viene così volentieri ai concerti di Santa Cecilia e si intende di Brahms e Rachmaninov più di LEI, più di C..
E a quell’età, tra i tuoi amici punk, è difficile che qualcuno ascolti musica classica. Quindi C. è ok, io la frequento.
Fu così che una sera mi ritrovai invitata ad una festa, in una casa nobiliare, in pieno centro.
Per chi ha visto il film di Sorrentino, potrei non sforzarmi a descriverla, perché era più o meno la casa dove Giorgio Pasotti (il tenutario delle chiavi dei più bei palazzi romani) porta Tony Servillo e la Ferilli (alias Gep Gambardella e Ramona) e dove si vedono 3 anziane nobildonne intente a giocare a carte.
Per chi non lo ha visto, provo a descrivere che mi trovai in un palazzo straordinariamente bello, con stanze enormi, alcune vuote, altre con pochi pezzi magnifici lasciati lì al loro destino, spledori dimenticati. Molti cimeli e oggetti antichi erano in ingresso, evidentemente in procinto di essere venduti all’asta o a privati per ricavarne dei soldi.
Giovani e meno giovani (alias figli e genitori) si aggiravano con piattini e bicchieri in mano servendosi da buffet piuttosto contenuti (nulla mancava ma l’opulenza è un’altra cosa), oppure sedevano su canapè intavolando discorsi di cui ignoro tuttora i contenuti, qualcuno mi è stato presentato come “futuro latinista” (giuro!), in qualche sala ballavano vestiti in modi improbabili (diciamo che gli abiti da sera erano molto anni 80), nel bagno un paio di signore sui 50 le trovai che bevevano superalcolici, ogni tanto ti imbattevi in un prelato che si aggirava con aria estatica, come fosse sempre in procinto di elargire una benedizione.
Tutti avevano l’aria di divertirsi moltissimo, di fare qualcosa di altamente trasgressivo. Ma non era così. C'era qualcosa di estremamente finto e fittizio, di ostentato, di non assimilato.
Per me, che venivo dai locali di San Lorenzo, ancora battuti da universitari e squattrinati, o al massimo da qualche serata in giro dopo un film con amici, mi sembrava che fossero dei Nosferatu che di giorno, con la luce, sparivano.
Anche io, ovviamente, avevo un vestito rimediato non ricordo più dove, visto che era richiesto un abito da sera e io non ne avevo, ma giuro che in quel contesto, facevo la mia porca figura.
Fatto sta che mi viene presentato quello che doveva essere il meglio della piazza, tale L..
Un tipo spilungo, un po’ più svecchiato degli altri, nè brutto nè bello ma con un’aria triste negli occhi che mi fece subito simpatia. Pensai che forse anche lui non era felice di stare li, che avremmo potuto parlarne, almeno per passare il resto della serata senza mettere in imbarazzo la mia amica C., visto che ero in macchina con lei.
Ma la fortuna (o sfortuna) volle che C. mi chiedesse di tornare a casa prima, che non stava bene e le dispiaceva interrompere la festa in anticipo. Figuriamoci io, nascondo un palese entusiasmo, saluto il ragazzo e dichiaro finita la tortura.
Qualche giorno dopo vengo invitata sempre da C. a prendere un thè in centro (!), la questione pareva importantissima, perché L. aveva chiesto di rivedermi!.ù
“No grazie, non mi sembra il caso. Vai tu che mi sembra sia più il tuo tipo”. C. ride e ci scherza su ma alla fine mi convince (non ultimo il fatto che mi stessi perdendo una fortuna…hai visto mai???).
L’appuntamento ovviamente era nel Caffè più antico di Roma, il Caffè Greco. Là mi ritrovo una parte dell’allegra gioventù della sera prima, C. e ovviamente L. Questa volta più ridanciano e colorito.
Passo un’oretta e mezza a sentire pettegolezzi su gente che non conoscevo, su scuole che "quelli" non potevano più permettersi mentre "loro" si, su trasmissioni televisive di cui ignoravo l’esistenza e qualche altra noiosissima stronzata. Taccio per quasi tutto il tempo, guardandomi attorno e domandandomi chi pagherà.
Ad un certo punto faccio presente che devo andare.
Allora L. si alza e mi chiede se posso seguirlo. Mi porta ad un tavolo poco lontano dal nostro dove erano sedute 4 o 5 signore. Mi presenta ad una di loro chiamandola "Mamma" e le dice che io sono G., la ragazza di cui le aveva parlato.
La signora non si scompone, mi sorride da seduta, mi avvicina una mano che io non so come prendere, lei lo nota, la ritira, ravana nella borsa, ne estrae un pezzo di carta ben nascosto tra le dita, mi riallunga la mano prendendo la mia e infilandovi 5.000 lire: “Queste sono per il taxi che la riporterà a casa, signorina”.
L. abbassa lo sguardo, mi accompagna alla porta e mi dice “Mi dispiace”. C. resta a ridere con le sue amiche.
Io, con l’esprit d’escalier, torno furiosa a casa.
Ero incazzata marcia, non per quanto era accaduto, ma solo perché , mentre le restituivo il denaro, anziché dire “Grazie, faccio da sola” non abbia risposto “Signora, le prossime 5.000 lire le dia a qualcuna disposta a fare un pxmpinx a suo figlio!” .
Grazie Sorrentino. E grazie Servillo.